Al giorno d’oggi molti interventi vengono eseguiti con tecnica di chirurgia mini-invasiva (laparoscopia, toracoscopia, chirurgia robotica), meglio conosciuta come la tecnica “dei 3 buchini”. In tal caso, saranno presenti più cicatrici di dimensioni ridotte (circa 1 cm o meno ciascuna) che saranno ovviamente meno evidenti di una singola grossa cicatrice.
Le cicatrici riguardano anche le strutture più interne e profonde, come i muscoli o gli organi interni. Una cicatrice all’interno dell’addome, per esempio, può portare alla formazione di aderenze intestinali, ossia un’aderenza tra differenti anse intestinali che si appiccicano tra loro. Talvolta, questa complicazione può causare un blocco intestinale. Re intervenire chirurgicamente una seconda o una terza volta nello stesso punto del corpo è più difficile proprio a causa di queste aderenze.
Ogni incisione chirurgica prevede anche una sutura. Generalmente il chirurgo usa dei fili di sutura (punti) che si sciolgono da soli e che quindi non devono essere rimossi in quanto vengono riassorbiti dal corpo. Spesso viene utilizzata una sutura definita “intradermica”, cioè un filo continuo che corre a “zig-zag” nello spessore della pelle senza lasciare i classici segni dei punti e che non necessita di essere rimossa. Altre volte verranno utilizzati dei punti che andranno rimossi dopo pochi giorni per evitare che lascino segni inestetici molto evidenti (ad esempio sul volto). Molto più raramente verranno utilizzate graffette metalliche che ovviamente dovranno essere rimosse con uno strumento apposito.
Spesso i Genitori chiedono se la cicatrice lascerà un segno evidente e se sarà necessario rivolgersi ad un chirurgo plastico per ottenere una cicatrice “invisibile”. La maggior parte dei chirurghi sono addestrati ad eseguire suture estetiche tali da ridurre il più possibile l’impatto visivo. Quando l’operazione viene condotta in zone particolarmente “visibili” del corpo (al volto, per esempio), il chirurgo può avvalersi dell’aiuto del chirurgo plastico per definire insieme il tipo di incisione che possa essere conseguentemente suturata nel miglior modo possibile. Nonostante le migliori intenzioni e la tecnica chirurgica più delicata, i processi di guarigione e di cicatrizzazione possono talvolta non essere ottimali o comunque all’altezza delle aspettative. Questo dipende dal fatto che tali processi variano molto da una parte del corpo all’altra. La faccia e il collo, per esempio, guariscono generalmente molto bene e in fretta e pertanto le cicatrici sono spesso minimali. In aree di pelle più spessa, ad esempio al di sopra di grossi muscoli dove i movimenti sono inevitabili (arti e articolazioni), i processi di guarigione sono più lenti. La cicatrice potrebbe allargarsi (diastasi) e non rimanere una linea sottile. Infine, la cicatrizzazione varia da persona a persona. Qualcuno può formare delle cicatrici brutte e spesse (cheloidi) con un aspetto finale davvero poco estetico, tipicamente se la ferita è stata sottoposta ad un qualche tipo di traumatismo (contusione, ustione o infezione). Talvolta la ferita chirurgica può infettarsi nel postoperatorio, specialmente se la condizione chirurgica che ha richiesto l’intervento era stata causata da un’infezione (ad esempio un’appendicite). La ferita diventa arrossata, calda e dolente. Talvolta se l’infezione è superficiale, è sufficiente applicare degli impacchi con garze caldo-umide sopra la ferita. Altre volte, se l’infezione si estende più in profondità, può formarsi del pus che potrebbe fuoriuscire spontaneamente dalla ferita o richiedere che la ferita venga riaperta per far drenare il pus all’esterno. In tale evenienza spesso la ferita viene successivamente lasciata aperta, in attesa che si chiuda spontaneamente. Inevitabilmente la cicatrice che ne seguirà sarà più ampia rispetto a quella che si sarebbe formata in assenza di infezione.